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Sud del Sudan

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Nel sud del Sudan le popolazioni odorano di vero come il fabbro odora di ferro, come il contadino odora di terra o come il cartolaio odora di matita di legno.
Laggiù non si imbroglia con profumi o colonie. La terra rossa si è saldata con la pelle e coi capelli di quei signori.
In quello spazio di mondo dedicato ai felici disperati l’inverno non si riconosce dalla puzza di naftalina del cambio dei vestiti ma solo quando dal caldo vulcanico si passa al caldo infernale.
Ecco, è proprio laggiù che il mio destino decise di farmi perdere nella bassa savana.
Eravamo andati a consegnare dei medicinali a un gruppo di Turkana a un centinaio di chilometri dalla nostra base.
Prima di rientrare regalammo anche tutta l’acqua che avevamo a bordo. A noi non serviva più visto che dopo un paio d’ore saremmo rincasati.
Il rientro invece non fu fra i più sereni. La nostra Land Rover abbandonò la vita e si fermò.
Non avevamo acqua e viveri e con il mio compagno Eberard, tedesco, l’unico dialogo poteva essere la mimica di un goal segnato da Bekenbauer alla nostra nazionale italiana di calcio una ventina di anni fa. Quella notte la passammo sul tetto dell’auto con vista a 360 gradi sul niente e in lontananza si intravedevano alcuni lampi di luce che potevano essere solo temporali o guerriglie.
Quei flash mi ricordavano il matrimonio di mio cugino, anche in quell’occasione fu una guerra, ma quel giorno non c’erano 6 milioni di invitati a combattere per sopravvivere.
Forse il destino aveva voluto che provassi a vivere un paio d’ore come vive quella gente.
E pensavo… pensavo. Non avevo altro da fare. In quel posto non avevo niente da dare, non c’era nessuno da aiutare. Milioni di persone che vivevano una vita come vivevo io in quel frammento di vita, senza acqua, con miliardi di zanzare in vacanza, senza nessuno che ti saluta, che ti aiuta se hai mal di denti. In più loro non avevano neppure quel morbido tetto del Land Rover su cui dormire e un Eberard con il quale polemizzare.
In quel posto tutto serve, anche le barzellette su Pierino. Il pomeriggio del giorno dopo riuscimmo a rianimare l’auto che ci portò malvolentieri alla base.
Seduto al tavolino della casa di Eberard scrissi sul mio diario : “Cercare di informare gli altri su come si sta in Sudan – trovare persone che mi aiutino ad aiutare – Stringere la mano a quelli che hanno deciso di intervenire – Bere un po’ d’acqua ! – ritirare i pantaloni stirati e portare auto per tagliando – Non lasciarli soli !”
Quel mio diario è stato rubato e dopo un paio di mesi ho scoperto il ladro. Era stata AMREF che ha fatto o sta facendo tutto tranne che ritirarmi i pantaloni stirati.



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